00 29/10/2010 17:38
TENNIS - Lleyton Hewitt smentisce di aver voluto lucrare sul nome della terza figlia tramite il servizio di SMS “Faccio parte del programma Text a Star da tempi non sospetti”. Sarà, ma la storia insegna che l’australiano è molto legato al vil denaro. Lo “scippo” del “vicht”, la causa con Octagon e la battaglia del “C’mooon”, in cui vorrebbe appropriarsi del marchio.

La notizia era divertente, tanto che diversi giornali le hanno dedicato qualche riga, mischiandola all’informazione seriosa. Lleyton Hewitt è diventato padre di una bambina, che andrà a fare compagnia a Mia Rebecca (5 anni) e Cruz (2). Eppure nessuno ne conosceva il nome. In molti hanno scritto che l’australiano avrebbe comunicato il nome della bimba ai soli sottoscrittori del servizio “Text a Star”, molto diffuso in Australia, che al costo di 2 dollari australiani (1,4 euro) fa accedere a notizie esclusive da parte di personaggi famosi. Lo stesso Hewitt, attraverso un comunicato, aveva fatto sapere che i suoi sostenitori avrebbero conosciuto il nome della bimba con questo servizio. In tanti si sono indignati, accusando l’australiano di voler speculare persino su sua figlia. In effetti, i precedenti di Lleyton in ambito “finanziario” sono inquietanti. Prima di ricordarli, riportiamo gli ultimi sviluppi. Direttamente dal suo sito internet, Hewitt ha prima rivelato il nome della bimba, che si chiama Ava Sydney. Poi ha scritto una lettera piuttosto risentita, in cui specifica di non aver speculato sul nome della figlia. Dopo aver sottolineato che alcuni giornalisti avrebbero la pretesa di essere gli unici ad avere il diritto a certe notizie, ha riferito di far parte del programma “Text a Star” dall scorsa estate, e che lo avrebbe utilizzato in più occasioni per comunicare direttamente ai fans senza passare dal filtro dei media. Le illazioni sul nome della bambina, dunque, sarebbero state montate ad arte per mettere in cattiva luce Hewitt, il quale avrebbe soltanto sfruttato un servizio di cui usufruisce da mesi: “Volevo che i miei sostenitori fossero i primi a sapere certe cose”.

Il “vicht" rubato, la causa con Octagon
Preso atto della sua auto-difesa, peraltro discutibile (la notizia, alla fine, era vera), vale la pena fare un passo indietro e ricordare come il buon Hewitt sia particolarmente attento, se non aggressivo, quando si tratta di soldi. Sono almeno tre i casi che inchioderebbero la sua avidità, uno più clamoroso dell’altro. Il primo è piuttosto famoso e riguarda il “vicht”, il gesto in cui simula un becco d’anatra con la mano e se lo porta davanti al viso. Il marchio del vicht apparteneva allo svedese Nicolas Kroon: qualche anno fa si dimenticò di rinnovarne la proprietà intellettuale e Hewitt, o meglio la “Lleyton Hewitt Marketing” se ne sono impossessati a mò di avvoltoi. Un gesto impeccabile sul piano legale ma discutibile su quello umano. Una volta ottenuto il marchio, Yonex (sponsor di Hewitt per racchette e abbigliamento) ha subito messo in commercio una linea di t-shirt nel cui disegno è riprodotto proprio il vicht. Il secondo caso riguarda una causa milionaria ancora in corso con Octagon, sua ex agenzia di management. Dopo una partnership andata avanti fino al 2004, Hewitt non ha rinnovato il contratto perché (a suo dire) Octagon non gli aveva fatto guadagnare cifre sufficienti. Loro non ci sono stati e hanno reso noti i guadagni del giocatore nel 2005-2006. La cifra arriverebbe a circa 6,5 milioni di dollari tra i vari sponsor: Nike, Yonex, Channel 7, Optus, Sega, il videogioco TopSpin, la rivista New Idea e le garanzie nei tornei. Al contrario, gli avvocati di Hewitt sostengono che Octagon avrebbe trattenuto oltre 1 milioni di dollari per alcune dispute perse con l'ATP, compresa un'intervista negata a ESPN ("costata" ben 161.000 dollari). Octagon ribatte dicendo che nell'accordo c'era una clausola secondo cui Hewitt avrebbe dovuto cedere tra il 16 ed il 20% dei suoi guadagni in caso di retrocessione nel ranking ATP, come è effetivamente accaduta. Non sappiamo chi abbia ragione: l’unica certezza è che nessuno vuole mollare.

Un “C’mooon” di troppo
Il caso più clamoroso, perché va a colpire un’azienda familiare, riguarda il “C’mooon”, mitico grido diventato un marchio di fabbrica del giocatore, esploso durante l’Australian Open 2005, quando ne urlò più di 100. Il Canguro Mannaro si è talmente immedesimato nel ruolo da pensare di registrare il marchio e lucrarci sopra. Il fatto è che “C’mooon” appartiene, da anni, a un certo Josh Shiels, appassionato di sport nato in Irlanda ma residente in Australia. La LHM non c’è stata e ha portato la faccenda in tribunale, sostenendo che il comportamento di Shiels andasse oltre gli standard di un regime di concorrenza, e che volesse rovinare la reputazione del tennista. L’intellettual property australiana, una specie di SIAE, li ha però respinti e sottolineato che Shiels fa un genuino uso commerciale del marchio sin dal 2004. La Lleyton Hewitt Marketing è stata condannata al pagamento delle spese processuali, ma hanno promesso una viva battaglia legale, inficiando la serenità di un signore che insieme alle figlie ha (aveva?) il grande sogno di creare un unico grande brand australiano che potesse competere con Nike e Adidas. Ha aperto una bancarella a Brisbane, spesso lo si vede all’Australian Open intento a vendere o regalare gadget, ed ha persino provato a diffondersi fuori dal suo paese. “La mia famiglia è stata trascinata da un tribunale all’altro” ha detto Shiels, parzialmente sollevato dalla sentenza della SIAE australiana “E’ dura sia mentalmente che finanziariamente, soprattutto quando hai alle spalle solo una piccola azienda”. Il problema è che l’incubo non è ancora finito. E pensare che l’idea di registrare il marchio gli era venuta ripensando alle World Series di cricket, quando i sostenitori australiani cantavano “C’mon Aussies C’mon” per sostenere l’Australia.

Lleyton, perché?
Dando un’occhiata alla scheda di Hewitt sul sito ATP, si scopre che in 13 anni di carriera ha guadagnato quasi 19 milioni di dollari, cifra che può tranquillamente essere moltiplicata grazie a sponsor, apparizioni e sottobanchi. Eppure sembra che non basti: dopo il “vicht” e il “c’mooon” si è inventato questa diavoleria del “Text a Star”. Sarà pur vero che non volesse lucrare sul nome della terza figlia, ed è probabile che il suo introito sul singolo SMS non sia granchè. Ma accidenti, Lleyton: hai abbastanza soldi per mantenere Bec, Mia Rebecca, Cruz Lleyton, la neoarrivata Ava Sydney…più almeno 2-3 generazioni. Perché accanirsi così tanto con il denaro?

Riccardo Bisti